Dopo il catetere non riesco a urinare

Ricorrervi solo in caso di assoluta necessità e rimuoverlo il prima possibile. È questo l’invito lanciato dalle pagine di Jama Internal Medicine ai medici riguardo all’uso del catetere uretrale. 

L’appello è l’inevitabile conclusione a cui giunge uno studio condotto su oltre 2 mila pazienti da cui è emerso che il tubicino piazzato nella vescica attraverso l’uretra (frequente soprattutto in caso di interventi chirurgici) non solo aumenta il rischio di infezioni del tratto urinario e provoca dolore, ma causa altri disturbi che possono insorgere anche dopo le dimissioni. 

Dopo il catetere non riesco a urinare

In molti casi si possono avere problemi urinari e sessuali anche a distanza di tempo dalla rimozione del dispositivo medico. 

Finora le complicazioni dovute al catetere più studiate sono state le infezioni. 

Ma il nuovo studio dimostra che le complicanze diverse dalle infezioni sono 5 volte più comuni delle infezioni stesse.

I ricercatori hanno raccolto le informazioni sulle condizioni di salute di pazienti ricoverati in ospedali del Michigan e del Texas, la maggior parte dei quali aveva subito da poco un’operazione. 

Le interviste sono state condotte in due momenti differenti: la prima volta dopo due settimane dall’inserimento del catetere e la seconda dopo un mese. I tre quarti della popolazione coinvolta nell’indagine era rappresentata da uomini. 

Nel 76 per cento dei casi il catetere era stato rimosso nell’arco di tre giorni. Il 57 per cento degli intervistati ha dichiarato di avere avuto almeno una complicazione: il 10 per cento ha avuto un’infezione, il 31 per cento ha sentito dolore e ha avuto sanguinamento al momento della rimozione. Più della metà dei pazienti intervistati mentre ancora era inserito il catetere dichiaravano di avere dolore o una sensazione di disagio. 

«Alla luce della frequenza con cui vengono utilizzati i cateteri uretrali - scrivono i ricercatori - dovremmo considerare non solo le complicanze infettive ma anche le complicazioni non infettive associate a questi dispositivi come aree chiave di possibili danni e quindi obiettivi vitali per gli sforzi futuri di prevenzione».

Un paziente su quattro ha raccontato di avere avvertito contrazioni alla vescica e desiderio urgente di urinare. Il 10 per cento dei pazienti ha avuto episodi di ematuria. Quasi la metà dei pazienti con catetere ancora inserito dichiaravano di avere limitazioni nelle loro attività quotidiane e sociali.

Dopo il catetere non riesco a urinare

Alcuni problemi restavano anche quando il catetere veniva rimosso. Il 20 per cento dei pazienti ha dichiarato di aver sofferto di perdite urinarie dopo la rimozione, mentre il 5 per cento ha riportato problemi sessuali. 

«Negli ultimi decenni è stata rivolta particolare attenzione ai rischi di infezione associati all’inserimento di cateteri urinari - ha spiegato Sanjay Saint, della VA Ann Arbor Healthcare System, professore all’University of Michigan e principale autore dello studio - ma in tempi recenti è emersa l’importanza di dedicare attenzione alle conseguenze dannose diverse dalle infezioni provocate da questi strumenti medici. Data l'alta incidenza di queste complicanze riportate dal paziente, le complicanze non infettive associate al catetere uretrale dovrebbero essere al centro degli sforzi di sorveglianza e prevenzione».

Il paziente con ritenzione acuta di urina: gestione

Settembre 29, 2015044370

La ritenzione urinaria, che può essere acuta o cronica, è una condizione che si caratterizza come sintomo aspecifico o come complicanza di patologie urogenitali o neurologiche. La ritenzione acuta d’urina è caratterizzata da dolore intenso e dalla distensione della vescica rilevabile alla palpazione. La ritenzione urinaria cronica solitamente provoca pochi disturbi perché è un processo graduale. Nella maggior parte dei casi, il ristagno vescicale è il parametro che determina la diagnosi di ritenzione urinaria: se il ristagno è compreso fra 500 e 800 ml e non c’è una storia pregressa di ritenzione urinaria allora si parla di ritenzione acuta. Se si osserva ripetutamente un ristagno pari o superiore a 500 ml di urina si parla di ritenzione cronica. E’ in questi casi che il ruolo dell’infermiere è davvero importante. Ma passiamo a vedere prima i diversi tipi e le cause! Le cause della ritenzione urinaria sono molteplici e possono essere classificate come ostruttive, infettive, infiammatorie, farmacologiche, neurologiche. La causa più frequente nell’uomo è l’ipertrofia prostatica benigna: secondo uno studio americano tra il 25 e il 30% degli uomini che hanno subito un intervento chirurgico per ipertrofia prostatica benigna ha avuto un episodio di ritenzione urinaria acuta. Nella donna le cause principali di ritenzione urinaria sono il prolasso vaginale, le complicanze di interventi di ricostruzione del pavimento pelvico e gli interventi per l’incontinenza urinaria da stress.
Nell’immediato post operatorio la ritenzione acuta può essere causata:

  • da una carenza di liquidi infusi durante e dopo l’intervento;
  • dall’impossibilità del soggetto di andare in bagno e dalla difficoltà nell’utilizzare il pappagallo o la padella;
  • dai farmaci anestetici che possono rallentare la filtrazione glomerulare e provocare una contrazione della diuresi.

La ritenzione urinaria si diagnostica prevalentemente con l’esame obiettivo e con la valutazione del residuo vescicale. Il soggetto con ritenzione acuta ha di solito un intenso desiderio di urinare e un dolore pressorio sovrapubico. Alcuni soggetti riferiscono disfunzioni (nicturia, flusso urinario debole, perdite post svuotamento, iscuria paradossa) che peggiorano gradualmente dopo giorni o settimane, mentre altri avvertono una perdita improvvisa della capacità di urinare senza sintomi associati. Il segno oggettivo di ritenzione è la variazione del residuo post minzionale o la presenza di distensione vescicale (globo) palpabile. Il residuo post minzionale può essere valutato o con l’uso del catetere o con una ultrasuonografia. Quest’ultima è da preferire perché non invasiva. Non c’è accordo in letteratura su quale sia il volume residuo da considerare significativo: il range varia da 50 a 300 ml. Per il trattamento della ritenzione acuta di urina le linee guida raccomandano il cateterismo immediato. La scelta del tipo di catetere va fatta in base alle caratteristiche anatomiche del soggetto, all’eventuale allergia al lattice e alla previsione della durata (breve, medio o lungo termine). L’iniezione di lidocaina al 2% gel, inserita nell’uretra prima dell’inserimento del catetere, è raccomandata perché:

  1. agisce come anestestetico locale;
  2. favorisce il rilassamento dei muscoli pelvici;
  3. nell’uomo aiuta l’apertura del lume uretrale se il lubrificante è tenuto in sede eseguendo una compressione lieve della fossa navicolare (appena sotto il glande);
  4. nella donna, la lidocaina può essere strofinata intorno al meato uretrale, per ridurre il disagio dell’inserimento del catetere.

Nel momento in cui viene raccomandato l’uso del catetere l’infermiere deve indicare sulla scheda infermieristica:

  1. le indicazioni relative al cateterismo (data, orario di cateterizzazione e di rimozione, quantità di urina presente nella sacca);
  2. i segni e i sintomi del soggetto al momento della cateterizzazione (agitazione, presenza di globo palpabile);
  3. i dati relativi alla ripresa della diuresi spontanea (prima minzione, quantità, orario).

Si stima che la metà dei soggetti cateterizzati sviluppi un’infezione del tratto urinario, soprattutto quando il catetere rimane in sede per più di tre giorni, pertanto è consigliata la rimozione entro 48 ore. Per verificare se il soggetto abbia ripreso una minzione adeguata può essere fatto un esame ecografico, in alternativa viene fatto un cateterismo dopo la minzione per controllare se il residuo vescicale è uguale o maggiore di 100 ml. In questo caso si deve iniziare un programma di cateterismo provvisorio. Per aiutare il soggetto a urinare si può ricorrere a rimedi come la borsa di acqua calda per ridurre la contrazione degli sfinteri o la borsa di ghiaccio sull’addome per stimolare la minzione.
E’ importante inoltre che l’infermiere:

  1. valuti il bilancio idrico controllando l’assunzione dei liquidi (sia per via infusionale sia per via nutrizionale) e la perdita di liquidi corporei;
  2. favorisca la minzione del soggetto assicurandogli la privacy e quando possibile aiutandolo a recarsi in bagno.

  Fonte: IPASVI

Come stimolare la vescica dopo il catetere?

Dopo un cateterismo vescicale, specie se di lunga durata, possono insorgere difficoltà nella ripresa di una diuresi spontanea. Per stimolare la minzione, a seconda delle situazioni, si può ricorrere a farmaci (ad esempio alfalitici) oppure ad alcuni “trucchi” come porre una borsa di ghiaccio sull'addome.

Cosa fare se non si riesce a fare la pipì?

Qualunque sia la causa della ritenzione urinaria la soluzione è sempre quella di posizionare un catetere in vescica per permetterne lo svuotamento. Questo intervento deve essere considerato un intervento d'urgenza.

Quando la pipì non esce?

La ritenzione urinaria è l'incapacità di svuotare completamente la vescica, a causa di ostacoli che si interpongono sulla via di deflusso. Acuta o cronica, la ritenzione urinaria si manifesta con l'impossibilità di eliminare l'urina, nonostante lo stimolo minzionale sia presente e sempre più intenso.

Quanto tempo si può stare senza fare la pipì?

Se non si hanno problemi al sistema urinario, trattenere occasionalmente le urine non è pericoloso. Di solito la vescica si riempie circa 300 ml, e, a seconda del livello di idratazione, una persona dovrebbe svuotarla ogni tre/sei ore.