Nuovo abate di san paolo fuori le mura

La basilica papale di San Paolo fuori le mura è una delle quattro basiliche papali di Roma, la seconda più grande dopo quella di San Pietro in Vaticano.

(LA)

«Teodosius cepit perfecit Onorius aulam
doctoris mundi sacratam corpore Pauli
»

(IT)

«Teodosio iniziò, Onorio portò a termine questo tempio,
santificato dal corpo di Paolo, dottore del mondo.»

(Iscrizione sopra l'arco trionfale)

Sorge lungo la via Ostiense, nell'omonimo quartiere, vicino alla riva sinistra del Tevere, a circa 2 km fuori dalle mura aureliane (da cui il suo nome), uscendo dalla Porta San Paolo. Si erge sul luogo che la tradizione indica come quello della sepoltura dell'apostolo Paolo (a circa 3 km dal luogo, detto "Tre Fontane", in cui subì il martirio e fu decapitato); la tomba del santo si trova sotto l'altare papale. Per questo, nel corso dei secoli, è stata sempre meta di pellegrinaggi; dal 1300, data del primo Anno Santo, fa parte dell'itinerario giubilare per ottenere l'indulgenza e vi si celebra il rito dell'apertura della Porta Santa. Fin dall'VIII secolo la cura della liturgia e della lampada votiva sulla tomba dell'apostolo è stata affidata ai monaci benedettini dell'annessa abbazia di San Paolo fuori le mura.

L'intero complesso degli edifici gode del beneficio dell'extraterritorialità della Santa Sede, pur trovandosi nel territorio della Repubblica Italiana. La Basilica è Istituzione collegata alla Santa Sede, inclusa l'annessa abbazia. Su tutto il Complesso extraterritoriale la Santa Sede gode di piena ed esclusiva giurisdizione nonché del divieto, da parte dello Stato Italiano, di attuare espropriazioni o imporre tributi[2].

Il luogo rientra nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO dal 1980.

nella Storia

L'Abbazia

Origini

L’area in cui sorge l’Abbazia e la Basilica era occupata da un vasto cimitero in uso costante dal I sec. a.C. al III sec. d.C. anche se fu riutilizzato, in maniera sporadica anche nella tardoantichità. La storia dell’Abbazia benedettina di San Paolo furi le Mura a Roma si intreccia fin dalle sue lontane origini alla storia dell’omonima basilica costruita sul luogo della tomba dell’apostolo Paolo.

Le più antiche testimonianze di presenze monastiche presso la basilica sono giunte ai nostri giorni dal documento marmoreo chiamato Praeceptum, di Gregorio Magno (590-604)che si conserva nel museo lapidario paolino all’interno dell’Abbazia. In questo documento si fa menzione di un monastero femminile dedicato a S. Stefano. Nel Liber diurnus si ha invece la prima testimonianza del monastero maschile dedicato a San Cesario martire nel documento si parla di un monastero che sta andando in rovina.
Il Pontefice Gregorio II (715-731) dispose che esso fosse restaurato e unito a quello di Santo Stefano e affida ai monaci benedettini l’incarico di custodire le lampade nell’oratorio del protomartire. Per tale ragione Gregorio II è considerato il vero fondatore del monastero paolino. Più tardi i monaci acquistarono maggiore importanza e maggiori beni tanto da diventare i rappresentanti della basilica di San Paolo di fronte al Pontefice.

In quel periodo i monaci accolsero nel monastero un ospite illustre Papa Paolo I (756-767) che qui morì a causa dell’età avanzata e il dispiacere per le ostilità del diacono teofilatto. Ci fu la prima invasione dei Saraceni a Roma (846), che lasciarono al loro ritiro saccheggi e distruzione. I monaci furono molto turbati per questo e spaventati dalle minacce di nuove incursioni e devastazioni. Fu proprio per questo che i Papi pensarono di costruire fortezze a difesa delle basiliche di S. Pietro e S. Paolo. Papa Leone IV (855-872), fece costruire attorno al Vaticano dei bastioni difensivi che da lui presero il nome di “Città Leonina”. Più tardi Papa Giovanni VIII (872-882), fece lo stesso costruendo attorno alla basilica e monastero mura e torri che prese da lui prese il nome di “Giovannipoli”.
Ad oggi non esistono testimonianze di questo che era diventato un vero e proprio borgo fortificato con abitazioni, mulino, chiesa e scalo sul Tevere.

La Bibbia carolingia

Il Re Carlo il Calvo nell’866 ordinò al monaco Ingolberto, che guidava un gruppo di amanuensi, miniaturisti e pittori, di realizzare una preziosa Bibbia che fosse degna della corte.
Nell’intenzione del sovrano doveva risultare un’opera d’arte grandiosa, sia per la completezza dei testi, sia per la bellezza e vivacità delle decorazioni e illustrazioni. Si tratta di un grande e grosso volume manoscritto, pergamenaceo di 336 pagine uscito dalla scuola miniaturistica di Reims Probabilmente la Bibbia fu portata a Roma nell’anno 875 in occasione dell’incoronazione di Carlo il Calvo ad imperatore nella notte di Natale dell’875.
Fu in quella occasione che la Bibbia fu donata a Papa Giovanni VIII. Per tutto il Medioevo questa Bibbia fu spesso usata durante i giuramenti di fedeltà al Pontefice e venne poi affidata ai monaci benedettini dell’Abbazia di San Paolo furi le Mura, nella cui custodia rimane ancora oggi. Una copia esatta della Bibbia è esposta all’interno della Pinacoteca nella zona museale della Basilica.

Origini dello stemma dell'Abbazia

Nonostante il pericolo di incursioni saracene Roma continuava a ricevere l’omaggio dei monarchi inglesi, i quali, solo un secolo prima, si erano convertiti alla fede cattolica per l’opera dei monaci benedettini.

I sovrani giungevano a Roma a venerare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo e offrivano doni, talvolta molto ricchi, alle basiliche che ne custodivano i luoghi di sepoltura. Probabilmente nel tardo Medioevo è proprio grazie a questa relazione religiosa che i sovrani Inglesi esercitarono la funzione di protettori sulla Basilica di San Paolo. Negli antichi stemmi degli abati, infatti, e anche l’attuale stemma dell’Abbazia di San Paolo vi sono rappresentati intorno allo scudo della spada una cinghia di cuoio col motto in francese dell’Ordine della Giarrettiera che fu istituito nel castello di Windsor nel 1344 o nel 1344: Honi soit qui mal y pense (trad. Sia maledetto chi pensa male).

Riforma monastica cluniacense e titolo di Abate di San Paolo

L’Abate della celeberrima abbazia di Cluny (Borgogna), Sant’Odilone, nel 936 fu chiamato a Roma per dare avvio alla riforma cluniacense in un tempo in cui, non solo a San Paolo, ma anche negli altri monasteri dell’Urbe, la disciplina della vita monastica era andata a poco a poco decadendo. Fu in questo periodo che scompare il titolo di “Abbas et rector S.Stephani et S.Caesarii ad Sanctum Paulum” e definitivamente quella più semplice di “Abbas et rector Sancti Pauli”.
Il legame con Cluny rimase anche in seguito. Dopo la riforma, infatti, si succedettero nell’abbazia di San Paolo vari abati fino a che l’imperatore stesso Ottone III invitò Sant’Odilone di Cluny, per organizzare con severità la disciplina monastica e le celebrazioni liturgiche, nel modo in cui avveniva in Borgogna nella sua abbazia.
Fu in questo periodo che molti romani entrarono nell’abbazia ostiense per vestirvi l’abito monastico. Tra questi ricordiamo Papa Giovanni XVIII (1003-1009), della cui professione monastica si ha soltanto una breve testimonianza:”Post annos V et dimidium in sancto Paulo monachus discessit”.

Gregorio VII

Nel secolo XI tra il papa e l’imperatore a causa delle investiture ecclesiastiche nacquero gravi difficoltà che turbarono le pacifiche relazioni tra le due massime autorità del mondo cristiano. La delicata situazione in cui venne a trovarsi il papato ebbe una grande ripercussione anche sull’osservanza regolare del cenobio paolino e sull’amministrazione del suo vasto patrimonio.
Il monastero e la basilica si videro a poco a poco cadere in pieno abbandono e nella più squallida decadenza.

Leone IX (1049-1054), entrato in Roma, venne a conoscere lo stato di rovina in cui si trovavano il cenobio e la basilica paolina. Volle subito provvedere affidandone la cura al monaco Ildebrando, che diverrà papa col nome di Gregorio VII nominandolo “provisor apostolicus” dell’abbazia. Quest’ultimo dopo aver ridonato il suo decoro al sacro tempio, provvide il necessario per vivere alla spauruta comunità monastica, e la fece ben presto aumentare di numero e tornare alla regolare osservanza. Eletto poi papa con il nome di Gregorio VII (1073-1085) continuò ad interessarsi della sua abbazia, tanto da conservare il titolo di Abate di San Paolo.
Di lui rimangono ancora: la bolla di conferma del vasto patrimonio feudale emanata nel 1081; la Bibbia carolingia assai preziosa e ricca di miniature; la porta di bronzo lavorata con figure niellate con argento e smalto, eseguita a Bisanzio nel 1070 e che ora è sistemata dopo accurato restauro all’interno della Porta Santa della basilica.

La rinascita artistica

Nei sec. XII e XIII il monastero ostiense raggiunge una notevole fioritura di grandezza spirituale ed economica. In questo periodo furono chiamati i più grandi artisti.
Tra questi vanno nominati Pietro Vassalletto, autore del suggestivo chiostro romanico-cosmatesco e del tipico candelabro pasquale; i mosaicisti veneziani, fatti venire per eseguire la grandiosa e suggestiva opera musiva nel catino dell’abside; gli artisti toscani Pietro Cavallini, che decorò la facciata della basilica con mosaico e ornò di pregiati affreschi tutte le pareti, e Arnolfo di Cambio artefice dell’artistico e magnifico baldacchino gotico innalzato sul glorioso sepolcro dell’Apostolo.

Il periodo della "cattività avignonese"

Al tempo della cattività avignonese, l’abate di S. Paolo fu considerato come il prelato più importante presente in Roma, al quale venivano spesso affidate dai papi di Avignone ragguardevoli missioni. In questo tempo fiorirono anche insigni figure di monaci, come il Beato Giovanni Elemosinario, tutto carità verso i poveri e morto nel 1330 a Todi ove era stato inviato quale vicario dell’abate di S. Paolo.

La riforma di Ludovico Barbo e la nascita della Congregazione Cassinese

Segue pure un periodo di decadenza nella vita monastica, in cui il papa Martino V (1417- 1431) affidò il governo dell’abbazia al card. Gabriele Condulmer, poi papa Eugenio IV, (1431-1447).
Egli fece venire il suo amico ed ex superiore di S. Giorgio in Alga a Venezia, Ludovico Barbo, il quale, poco prima, aveva iniziato nel monastero di S. Giustina di Padova una confederazione di monaci per riportare nei monasteri benedettini la vita claustrale regolare.
I monasteri benedettini riformati dal Barbo furono riuniti in congregazione detta “de Unitate” o di S. Giustina di Padova e finalmente, nel 1504, quando anche Montecassino entrò a far parte di questa riforma, fu detta Congregazione Cassinese.

Il rinnovamento monastico, introdotto dal Barbo, risollevò le sorti della vita disciplinare, spirituale e amministrativa dei monasteri. Fu riaccesa tra i monaci la passione per lo studio delle scienze sacre e profane, e il cenobio paolino divenne anche focolaio di santità e di cultura. Infatti i superiori della Congregazione Cassinese scelsero il monastero di S. Paolo come sede di un “gymnasium” filosofico e teologico approvato dal Beato Innocenzo XI (1676-1687). Questa scuola fu il germe dell’Ateneo internazionale benedettino, fondato sull’Aventino, da Leone XIII (1878-1903) e chiamato ora Collegio S. Anselmo, sede dell’Abate Primate dei benedettini confederati. Dall’Accademia paolina usci il monaco Barnaba Chiaramonti, lettore di filosofia per nove anni.

Il Chiaramonti, monaco professo del monastero di S. Maria di Cesena, sotto il pontificato di Pio VI (1775-1799) divenne vescovo e poi cardinale, fu eletto papa nel conclave tenuto nel monastero di S. Giorgio Maggiore di Venezia col nome di Pio VII (1800-1823). Con la soppressione degli ordini religiosi del 1866 e poi, per Roma, del 1870, tutti i loro beni furono confiscati dal Governo italiano e quindi anche il monastero di S. Paolo si trovò in condizioni precarie, tanto che i monaci potevano rimanere nella loro casa solo come custodi della basilica che era allora in ricostruzione. Sicché essi non abbandonarono mai l’ufficiatura intorno al sepolcro dell’Apostolo delle genti.

La ripresa in pieno della vita monastica ed economica dell’abbazia ostiense iniziò alla fine del secolo XIX e prosegui’ nel XX. Lo sviluppo della rinascita religiosa fu così rapido e vigoroso che l’abbazia di San Paolo si sentì in forze spirituali sufficienti per aiutare validamente parecchi organismi monastici a riprendere la vita benedettina in Europa, in America Si deve la rifioritura di vita claustrale ad alcune figure di monaci di quell’epoca: gli abati Leopoldo Zelli, Bonifacio Oslaender, il beato Ildefonso Schuster (poi cardinale arcivescovo di Milano) e il Beato Placido Riccardi.

Storia recente

Nella seconda sala dell’appartamento abbaziale una lapide latina composta dal cardinale Bacci ricorda che il 25 gennaio 1959, papa Giovanni XXIII diede ad un piccolo gruppo di anziani cardinali presenti a Roma in quel momento e alla chiesa intera, l’annuncio di voler convocare il Concilio Vaticano II con l’intenzione di convocare anche un Sinodo per Roma e la volontà di un’aggiornamento del Codice di Diritto Canonico.

Il “Sacratissimo monastero di San Paolo, f.l.m.”, a partire dal 7 marzo 2005, ha assunto la denominazione di “Abbazia di San Paolo fuori le Mura”, essendo stato soppresso il carattere ed il titolo di circoscrizione “territoriale”. Il 31 maggio 2005 papa Benedetto XVI con il suo primo Motu Proprio L’antica e Venerabile Basilica ha stabilito che anche per San Paolo, come per le altre tre basiliche papali di Roma, vi sia un arciprete nominato direttamente dal Pontefice che esercita la giurisdizione ordinaria ed immediata e ha come suo vicario per la cura pastorale l’abate dell’abbazia benedettina di San Paolo fuori le Mura.

Colloquio ecumenico paolino

Dal 1968 ogni due anni i monaci benedettini di San Paolo organizzano il Colloquio ecumenico paolino invitando esegeti e studiosi di diverse tradizioni cristiane che provengono da ogni parte del mondo per un colloquio di approfondimento di una settimana in cui si studiano e ci si confronta sugli scritti dell’apostolo Paolo. Questa attività culturale si inscrive nell’antica tradizione dell’Abbazia che ha sempre lavorato in favore dell’ecumenismo, servizio riconosciuto da tutti i pontefici e che con uno speciale mandato papa Benedetto XVI ha ufficialamente richiesto ai monaci benedettini dell’abbazia di San Paolo fin dall’inizio del suo pontificato.