Salò o le 120 giornate di sodoma trama

(ATTENZIONE! L’articolo contiene immagini forti)

Anche all’interno della storia parallela del cinema “proibito”, pochi film godono della fama di visione oscena e scandalosa di Salò o le 120 giornate di Sodoma [1975, Pier Paolo Pasolini]. Se da una parte questa reputazione trova riscontro nella potenza lacerante delle sue sequenze più estreme, dall’altra appare oggi perfino superiore ai suoi reali meriti (o demeriti): basti pensare alla quantità di immagini orrifiche e agli spettacoli della sofferenza che il paesaggio mediatico propone ogni giorno, generando un vero e proprio trionfo dell’oscenità1. Grazie anche all’eredità di Salò, ciò avviene persino in ambito cinematografico: oggi si assiste a una continua esplorazione dell’estremo, o perlomeno a una sistematica riduzione dei confini tra il rappresentabile e ciò che invece rimaneva un tempo nel fuoricampo, nel non-detto, nel sottinteso; fenomeno che coinvolge non solo il cinema arthouse o sperimentale (da sempre incline a questo genere di esplorazioni) ma anche produzioni internazionali di grande successo di pubblico, incapaci di generare lo stesso clamore suscitato da Salò o dagli altri titoli coinvolti in questo speciale sulle ‘visioni proibite’.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

Pertanto, al di là della dichiarata volontà di Pasolini di esplorare i limiti dello sguardo e della sopportabilità dello spettatore («il nostro sguardo messo a nudo», scrive Roland Barthes)2, la problematicità di Salò va ricercata nelle pieghe del film; un testo che si sviluppa su diversi piani concettuali e che, pur rimanendo strutturalmente fedele all’originale sadiano, si configura come un vero e proprio film-saggio, conclusione ideale della riflessione sociopolitica e antropologica dell'(ahinoi) ultimo Pasolini. Una visione proibita, dunque, ché mette a nudo con rara lucidità e senza arretrare di fronte a nulla l’aberrazione di un Potere che assoggetta, manipola e viola i corpi: una metafora potente, dove le caratteristiche di un periodo storico definito dal regista stesso come “nuovo fascismo” vengono trasferite proprio in un’ambientazione d’epoca fascista. Ma visione proibita anche perché la sua fruizione non può e non deve esaurirsi in una lettura compiuta con gli strumenti della società contemporanea – epoca in cui la deriva da lui denunciata più di quarant’anni fa è ormai insanabile (ma Pasolini sosteneva che già i giovani a lui contemporanei non lo avrebbero capito «perché vivono i nuovi valori con cui i vecchi valori, in nome dei quali io parlo, sono incommensurabili»)3 – e che non può prescindere da una serie di precisi riferimenti filosofici e letterari suggeriti proprio all’interno del film.
Anzitutto, la portata teorica di Salò si deve alla riflessione allegorica sull’anarchia del Potere (da scriversi rigorosamente in maiuscolo poiché «non so in cosa consista e chi lo rappresenti»)4, sulla manipolazione dei corpi e delle coscienze operata dal nuovo fascismo. Questo è il frutto delle osservazioni del Pasolini corsaro, che evoca quali referenti le teorie sulla biopolitica di Foucault, il concetto di dépense di Bataille e, più in generale, il complesso di teorie psicoanalitiche che fanno riferimento a Jacques Lacan. Ma parallelamente alla predominante dimensione politica, permane lo spirito del testo sadiano, filtrato attraverso le riletture che ne hanno proposto Barthes e Klossowski (addirittura inserite da Pasolini nell’insolita bibliografia che accompagna il film). Da qui ecco svilupparsi una riflessione sulla morte di Dio e sui limiti della rappresentabilità della violenza; tema, quest’ultimo, che si declina soprattutto attraverso caratteri specificatamente filmici come la composizione dell’inquadratura e il ricorso espressivo allo straniamento ottenuto attraverso l’utilizzo di differenti registri retorici e dialettici.
Dunque, il film si avvale di un corpus notevole di riferimenti bibliografici già predisposti dall’autore per una sua interpretazione; eppure è stato immediatamente bollato come osceno e a lungo stigmatizzato senza che fossero comprese l’urgenza e la puntualità dell’allegoria pasoliniana. Fraintesa o, peggio, del tutto ignorata, questa natura intimamente teorica, sono quindi sorte letture superficiali che vedono il film semplicemente come un’oscena successione di violenze di ogni genere.
Nel corso di questa analisi, si cercherà di tenere ben presente una tale ricchezza di temi, suggestioni e riferimenti teorici, mantenendo comunque sempre presente il richiamo a quel concetto di ‘visione proibita’ cha fa da sfondo allo speciale.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

BREVI CENNI DI SINOSSI

Al di là della rielaborazione in chiave politica e del trasferimento dell’azione nella Salò degli anni della Repubblica Sociale Italiana, Pasolini mantiene sostanzialmente inalterata la struttura narrativa del romanzo di Sade e, richiamando Dante, articola il film in quattro parti corrispondenti all’Antinferno e a tre gironi infernali.
Dopo aver rastrellato le campagne per selezionare e catturare un gruppo di ragazzi e ragazze adatte ai loro scopi, quattro signori, (un Duca, un Eccellenza, un Presidente e un Monsignore) si rinchiudono in una villa per allestire un’orgia sfrenata dove dare libero sfogo ai loro desideri proibiti. Se tra le mura si svolgono pratiche (non solo sessuali) eccessive e perverse, esiste invece un regolamento rigido e inappellabile che scandisce le diverse attività secondo una procedura rituale, sacramentale e iterativa. Ecco allora che tre narratrici raccontano a turno episodi di perversione per sollecitare il desiderio e l’immaginazione dei signori e questi successivamente sperimentano sulle vittime le loro fantasie, dando vita a un’escalation di soprusi che dal Girone delle Manie passa attraverso il Girone della Merda e conduce al definitivo Girone del Sangue, caratterizzato da torture e omicidi.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

LA PAROLA

La supremazia della parola, del racconto orale (o della lettura del regolamento scritto) è un carattere fondamentale del testo sadiano, e un primo aspetto che merita di essere approfondito. Come infatti evidenzia Roland Barthes, la città immaginaria e utopica di Sade «è interamente fondata sulla parola […] poiché nel romanzo sadiano stesso vi è un altro libro […] un testo di pura scrittura che determina tutto ciò che accade nel primo»5; ovvero senza le cosiddette “passioni delle novellatrici”, cioè i racconti predisposti per stimolare la fantasia dei libertini, non sussisterebbero le pratiche sessuali, finalizzate proprio al soddisfacimento degli impulsi indotti dalla parola. Sul tema della precedenza della parola rispetto all’atto ci vengono in aiuto le riflessioni di Jacques Lacan, autore a cui si farà ripetutamente ricorso durante questa analisi, anche perché utile a creare un ponte con la riflessione sul Potere. Di fatto, secondo lo psicoanalista francese, il campo del linguaggio è inteso non come una proprietà dell’uomo, bensì come qualcosa che lo struttura dall’esterno, una rete che lo avvolge, che precede l’essere e determina il soggetto; stando a Lacan, l’essere umano è “fatto di parole” e si sviluppa in un “brodo di linguaggio” (o come scriveva Heidegger, «il linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli è in quanto uomo. L’uomo è uomo in quanto parla»)6. Sappiamo inoltre che per Lacan il linguaggio pertiene al registro simbolico, il cosiddetto Grande Altro. Grazie soprattutto al “ritorno a Lacan” portato avanti in questi anni da Slavoj Žižek7, il concetto di Grande Altro finisce anche per coincidere con la Legge, l’ordine costituito, la sovrastruttura ideologica intesa in senso marxiano. Nonostante perda di spessore linguistico, è comunque in quest’ottica che la supremazia della parola e dell’ordine simbolico («ciò che è fatto è stato già detto»)8 assume notevole rilevanza nella rilettura politica pasoliniana di Salò perché, come afferma lo stesso regista, «il potere è sempre codificatore e rituale»9. La natura liturgica del cerimoniale dei quattro signori, la rigida pianificazione del regolamento che governa la villa, la perversa e grottesca attività oratoria che fa da cornice alle pratiche sadiche (spesso commentate da citazioni e riferimenti a Klossowski, Barthes, Nietzsche e allo stesso Sade) sono elementi tutt’altro che in conflitto con il concetto di ‘anarchia del Potere’ attorno a cui si fonda l’allegoria pasoliniana. La natura anarchica del Potere risiede proprio in questa messa in scena rituale che sancisce, regolamenta e giustifica la violenza dei forti contro i deboli; essa non è da intendere come mancanza di legge, ma come inclinazione del Potere a darsi da sé le proprie leggi. Il che non significa semplicemente che il Potere agisce nella maniera più utilitaristica; piuttosto, in maniera ben più sottile, ci dice che, attraverso la manipolazione delle coscienze, il Potere «produce preliminarmente le condizioni affinché possa fare quel che vuole fare, produce la propria stessa legittimità e, ancor più radicalmente produce un’umanità che desidera (facendole credere di desiderare liberamente ndr.) quel che esso stesso vuole fare».10 L’allegoria proposta da Pasolini è qui particolarmente significativa perché, a differenza di quanto avveniva nel periodo fascista che fa da sfondo al film, il sistema di Potere a lui coevo non agisce attraverso un apparato statale repressivo tradizionale ma si configura come un Potere invisibile, onnipervasivo e manipolatorio che passa continuamente dall’essere coercitivo all’essere depravato, quasi in ossequio alla logica hegeliana per cui ogni cosa contiene dialetticamente in sé il proprio contrario. Dunque, il libertinismo dei quattro signori si fa metafora esemplare di un Potere che anarchicamente trasforma il perverso e l’eccesso («Tutto è buono quando è eccessivo» dice il Monsignore) in regola e in ideologia (cioè in parola).

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

STRANIAMENTO

Il succitato contrasto tra l’oscenità delle pratiche sadiche e la fredda, puntuale ritualità attraverso cui sono messe in atto ha un equivalente nell’estremo rigore formale della messa in scena. La particolare geografia di Villa Aldini è in tal senso emblematica. Si tratta infatti di un ambiente freddo e asettico, apertamente in contrasto con le attività che vi si svolgono. Volutamente vuoto e minimale, è quasi del tutto privo di mobilia tanto da costringere i giovani a sedere a terra in uno spazio geometrico che sembra contraddire la loro inquieta prossemica. A tale visualità cartesiana fa da contraltare un registro espressivo che più volte lambisce il grottesco: in particolare nelle figure delle tre narratrici, che ricordano le dive del teatro di rivista o dell’avanspettacolo e di queste replicano i modi, l’abbigliamento nonché il ricorso a barzellette, battute umoristiche e canzonette. Ma il grottesco, sorta di humour macabro, lo si ritrova anche in certi vezzi dei quattro signori: si viene così a creare un continuo sconvolgimento percettivo, un contrasto tra forma e sostanza (si pensi anche alla scarsa caratterizzazione psicologica delle vittime, che permette allo spettatore di mantenere un distacco tale da stemperare l’insostenibilità della visione), che porta a chiedersi quale possa essere stata l’influenza avuta dalle teorie sullo straniamento di Bertold Brecht, autore poco amato da Pasolini («lo straniamento e il distacco non fanno per me», ebbe a dire in senso critico parlando del credito che i suoi lavori teatrali Orgia e Porcile devono al drammaturgo tedesco)11.
D’altronde, la diversa declinazione che i due autori propongono del concetto di straniamento risiede non solo nell’ovvia distanza tra la forma teatrale e quella cinematografica; infatti, secondo Pasolini, il film è prima di tutto un atto linguistico (ovvero un linguaggio scritto della realtà) che, in quanto tale, si compie nel momento in cui il destinatario (lo spettatore) ricostruisce dialetticamente la relazione tra significato e significante. Da qui, il ricorso retorico all’accostamento contrappuntistico di elementi dissonanti con l’obiettivo di produrre l’effetto straniante. È il regista stesso a svelare l’importanza delle figura retoriche in Salò: infatti, in un’intervista sul film dichiara che «la figura principale (di carattere metonimico) è l’accumulazione (dei crimini); ma anche l’iperbole (vorrei giungere al limite della sopportabilità)»12. Alle quali potremmo aggiungere: l’ossimoro, creato proprio dall’utilizzo di forme e modalità espressive in contraddizione con i contenuti; la metafora, usata per alludere alla relazione tra sessualità e potere; la metonimia, intesa, come insegna Christian Metz, quale spostamento dell’azione (l’ambientazione durante il breve periodo del fascismo repubblichino); e naturalmente l’allegoria, che si protrae per tutto il film.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

I LIMITI DELLA RAPPRESENTAZIONE

La dimensione allegorica di Salò non consiste però in un lavoro di occultamento o di attenuazione di quanto di sadico, osceno e violento si ritrova nelle pratiche perverse dei quattro signori. Pasolini non lavora per privazione, bensì, attraverso l’algido rigore formale delle sue inquadrature simmetriche, si spinge gradualmente fino ai confini della rappresentabilità della violenza fisica e psicologica, esplorando volutamente i limiti dello sguardo e della sopportabilità dello spettatore. Dunque, nulla è celato all’occhio: coprofagia, torture, omicidi, corpi usati come oggetti a servizio del godimento e violati di quella giovanile purezza e vitalità che nella precedente Trilogia della vita (Il Decameron [1971], I racconti di Canterbury [1972] e Il fiore delle Mille e una notte [1974]) egli rappresentava proprio attraverso la nudità. E nel suo interrogarsi sul tema della violenza, Pasolini arriva infine egli stesso a travalicare i confini tra l’universo filmico e la realtà. Il lavoro di manipolazione e di violazione dei corpi dei giovani attori, spesso appena maggiorenni e non professionisti, finisce infatti per sovrapporsi a quello attuato, nella finzione scenica, dai libertini. Come scrive Alberto Brodesco, «per denunciare l’universo dello spettacolo Pasolini è costretto a immergersi in esso. Per servirsi di Sade è costretto a imitarlo»13. E quando nelle sequenze finali del Girone del sangue si giunge al «colmo del crimine»14, espressione usata da Bataille per descrivere l’atto estremo del libertino (cioè l’annullamento dell’individuo attraverso la negazione di se stessi), questa sovrapposizione si moltiplica, poiché le particolari dinamiche di sguardo venutesi a creare fanno in modo che il personaggio in campo, il regista e lo spettatore si trovano a occupare tutti e tre il ruolo del voyeur. Tramite la soggettiva del Presidente che attraverso un binocolo guarda compiaciuto le torture compiute nel cortile della villa, i tre sguardi vanno a coincidere e il culmine della nefandezza diviene, per lo spettatore, anche il limite estremo della tollerabilità.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

La soggettiva del Presidente

LA RIFLESSIONE SOCIOPOLITICA DELL’ULTIMO PASOLINI

Come già accennato, la natura proibita di Salò non riguarda solo la potenza quasi intollerabile delle sue immagini: è anche filosofica e politica.
Dunque, per comprendere meglio l’allegoria che struttura il film, è il caso di approfondire la riflessione sociopolitica dell’ultimo Pasolini, quello degli articoli pubblicati sul Corriere della Sera, Il Mondo e altri quotidiani, e successivamente raccolti nei due volumi Scritti corsari e Lettere Luterane. Gli scritti del regista di Medea [1969] muovono da una serie di osservazioni sull’evoluzione della società italiana a partire dalla fine degli anni sessanta; periodo che non casualmente coincide con il consolidamento degli effetti secondari dell’espansione economica e con l’utopia sessantottina (sulle cui conseguenze, a distanza di anni, Pasolini esprimerà un giudizio tendenzialmente negativo). Il corpus di scritti del periodo ’73-’75, di cui Salò rappresenta una sorta di traduzione cinematografica, non ha carattere di omogeneità ma è un complesso di articoli disorganici relativi ai temi più disparati, spesso legati all’attualità. Si può però individuarne un impianto generale (che permette di accostare il Pasolini ‘filosofo amatoriale’ all’approccio della Teoria Critica francofortese) che ruota intorno alla riflessione sul “nuovo Potere” e sul suo lascito sociologico e antropologico. Questo “nuovo Potere” non va inteso come un soggetto o un insieme di soggetti, bensì come un Potere senza volto, un apparato ideologico, un Grande Altro lacaniano che manipola le menti e trasforma le coscienze attraverso i valori del consumo veicolati dai mass media, dalla pubblicità e da tutto ciò che ha a che fare con il sistema capitalistico. Conseguenza di ciò è quella che Pasolini definisce “mutazione antropologica” degli italiani, ovvero l’omologazione repressiva interclassista, il conformismo in chiave modernista e pragmatica che elimina le culture particolari precapitalistiche, contadine, sottoproletarie (fattore che spingerà Pasolini a ricercare tracce di sopravvivenza di tale civiltà nel Sud del Mondo) e produce quello che nessuna ideologia fascista era mai riuscita a produrre prima, ovvero la totale adesione a un unico modello imposto dal Centro. Scrive a tal proposito: «L’omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. [..] La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa»15. E ancora: «oggi anche nelle città dell’Occidente […] camminando per le strade si è colpiti dall’uniformità della folla: anche qui non si nota più alcuna differenza sostanziale tra i passanti nel modo di vestire, nel modo di camminare, nel modo di esser seri, nel modo di sorridere, nel modo di gestire, insomma nel modo di comportarsi»16

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

Come si può intuire, il conformismo di cui scrive Pasolini non riguarda solamente l’omologazione del modo di pensare o dei desideri ma infetta anche la dimensione fisica e corporea. E questa manipolazione dei corpi attraverso i codici del conformismo colpisce anche quelli che Pasolini definisce ‘segni monolitici’, cioè i segni che comunicano senza utilizzare il linguaggio verbale. Seppur originariamente sovversivi e propri di una sottocultura all’opposizione17, tali segni sono stati neutralizzati e assorbiti dal sistema, trasformati anch’essi in significanti impersonali e inoffensivi se non addirittura reazionari. È l’esempio dei capelli lunghi, protagonisti di uno dei più celebri scritti corsari, che da emblema della ribellione giovanile si tramutano in costume; ma lo stesso si potrebbe dire oggi dei tatuaggi o di altri simboli legati originariamente a una qualche sottocultura. Questa neutralizzazione è avvenuta anche perché i giovani corpi esibiti nei suoi film precedenti in quanto simbolo della vitalità sovversiva delle classi subalterne sono stati ora assorbiti nel ciclo produttivo con la nascita del cosiddetto filone “decamerotico”; cosa che, riflettendo su questa liberalizzazione sessuale, ha spinto Pasolini alla celebre Abiura della Trilogia della vita18.
È qui che risiede la grande novità di
Salòi corpi nudi che pochi anni prima si mostravano con gioia diventano invece oggetti sottomessi al Potere e martirizzati in nome del principio sadico della mortificazione della bellezza. In altre parole: in Salò ritroviamo la messa in scena di quel fenomeno di abbrutimento dei corpi che Pasolini riscontra nella società a lui coeva. Con la necessità di precisare che nell’Abiura avviene una profonda inversione di rotta rispetto al passato («i giovani […] se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano»)19. Quei giovani corpi non sono più celebrati ma vengono martirizzati (riecco il fenomeno di sovrapposizione tra il regista e i quattro signori a cui si accennava prima) all’interno di quella visione apocalittica della società che caratterizza fortemente l’ultima parte dell’esistenza di Pasolini.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

IL CORPO

Il corpo inteso come prodotto culturale, oltre che come unità biologica, è d’altronde un argomento centrale della riflessione pasoliniana e, conseguentemente, della sua produzione artistica (non solo di Salò ma anche dell’incompiuto Petrolio). Secondo il grande scrittore e regista, la manipolazione del corpo compiuta dal potere è molto simile a quella compiuta tempo addietro da Hitler: un approccio al tema del rapporto tra Potere e individuo che ha diversi punti di contatto con le riflessioni sulla biopolitica portate avanti negli stessi anni da Michel Foucault. Pur non mancando divergenze teoriche, sia in merito alle caratteristiche costitutive del Potere (rispetto all’italiano, in Foucault sono assenti il concetto di repressione e la connotazione di classe), sia a proposito dell’individuazione delle reali vittime di tale Potere (la contrapposizione teorica tra il singolo individuo e la popolazione quale blocco unico), gli ‘echi foucaultiani’ in Salò appaiono evidenti nella forzatura allegorica della relazione tra il Potere e il corpo delle vittime. E ce ne danno ulteriore contezza le numerose pagine che il filosofo francese dedica al supplizio e alla tortura del corpo del condannato in Sorvegliare e punire; in particolare quando scrive che «la morte è un supplizio nella misura in cui non è semplicemente privazione del diritto di vivere, ma occasione e termine di una calcolata graduazione di sofferenze […] la morte-supplizio è l’arte di trattenere la vita nella sofferenza, suddividendola in “mille morti”»20. Questa immagine delle mille morti la ritroviamo esplicitamente in una delle più celebri scene di Salò, quando, pur, condannato a morte, il vincitore del concorso del “fondoschiena più bello” viene risparmiato perché, usando le parole del monsignore, «Non lo sai che noi vorremmo ucciderti mille volte, fino ai limiti dell’eternità, se l’eternità potesse avere dei limiti?». Come per l’atto sessuale, infatti, anche nella tortura e nell’omicidio ritroviamo quell’indispensabile carattere di ripetitività eternatrice del gesto che, vedremo meglio tra poco, è il sintomo di una nevrosi del Potere in grado di attivare il meccanismo della coazione a ripetere. 

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

JOUISSANCE

Come abbiamo già visto, la seconda caratteristica saliente che Pasolini ravvisa in questo ‘nuovo fascismo’ è il suo non configurarsi come un Potere repressivo, ossia un potere che agisce tramite l’ufficio della proibizione, bensì tollerante, permissivo, che fonda il suo esercizio sulla cultura dell’edonismo sfrenato, della joie de vivre, su una mercificazione del desiderio a servizio del consumo. Pasolini assiste drammaticamente alla nascita della civiltà del piacere e dell’eccesso, sostenuta da una sovrastruttura ideologica che non vuole più la repressione degli istinti, ma che al contrario basa la sua egemonia sul godimento come Legge. E la libertà sessuale da conquista e potenza trasgressiva diviene quindi una libertà concessa, calata dall’alto, o, meglio ancora, imposta; lo evidenzia quando scrive che «oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore» [21]. Aggiungendo che la via della tolleranza e della permissione è secondo il regista la più atroce delle forme di repressione perché, rovesciando la convenzione, egli ritiene che «Là dove tutto è proibito, in realtà si può fare tutto, mentre là dove si può fare qualche cosa, si può fare solo quel qualcosa»22.
In ottica lacaniana, ciò si realizza attraverso un ribaltamento dei caratteri censori del Grande Altro (che in tal senso ha caratteristiche simili al Super-Io freudiano) in direzione di una diversa forma di coercizione: l’ingiunzione al godimento. Quello della Jouissance è d’altronde un tema chiave della riflessione lacaniana: in tale contesto, esso va posto in relazione alla teoria del “discorso del capitalista”, esposta in una conferenza del 1972. La tesi di Lacan è che il fondamento ideologico del capitalismo siano la forclusione (l’oblio che diventa cagione patologica) della castrazione, che offe l’illusione dell’assenza di limiti, e la frammentazione dei legami sociali e delle relazioni affettive a favore del dovere del godimento e dell’imperativo al consumo. Ciò è reso possibile dal fenomeno (emblematico della contemporaneità) dell’evaporazione della figura del Padre inteso come garante della Legge (che ha il suo momento chiave nel sessantotto), in grado di sganciare il godimento dal simbolico e di permettere al discorso del capitalista di mettere a proprio servizio il desiderio. Scrive infatti: «Lo sfruttamento del desiderio è la grande invenzione del discorso del capitalista»23. E aggiunge Massimo Recalcati, in un passaggio cruciale, che «L’uomo contemporaneo, l’uomo ipermoderno fa sempre più fatica a desiderare. […] Diversamente da quanto pensano certi edonisti, il nostro non è affatto il tempo della liberazione del desiderio. Al contrario, è il tempo dell’eclissi del desiderio»24. Lo stesso Pasolini, d’altronde, ravvisava nel movimento sessantottino l’errore fatale di non aver compreso che la sacrosanta battaglia per la liberazione del desiderio, senza il rifiuto dell’eccesso di godimento che ne deriva, ha di fatto permesso al capitalismo di farsi macchina del godimento, arrivando a oscurare la stessa forza del desiderio.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

L’ECLISSI DEL DESIDERIO / COAZIONE A RIPETERE / DÉPENSE

Questa eclissi del desiderio rende di conseguenza impossibile il raggiungimento di un reale piacere. Conseguenza di ciò è la manifestazione di un meccanismo di reiterazione che rimanda alla formulazione freudiana del concetto di coazione a ripetere. In Al di là del principio di piacere25, il grande psicoanalista austriaco ci dice che quest’ultima è strettamente legata alla pulsione di morte e all’eterna e infruttuosa ricerca di un ricongiungimento con la Cosa, ovvero l’oggetto perduto del primo soddisfacimento. In Salò, la coazione a ripetere si rende più che mai evidente nella sfrenata attività perversa dei quattro signori (sia le loro perversioni sessuali, sia, come abbiamo visto, la ripetitività eternatrice delle mille morti), la cui economia fondata sull’eccesso è inoltre un chiaro esempio di quello che Georges Bataille chiama “dispendio improduttivo”. Alla base di questa teoria (in francese dépense) risiede l’idea di rovesciare il principio aristotelico del Bene come fine ultimo dell’uomo, nonché la credenza secondo cui la nostra vita è orientata verso la produzione e la conservazione dei beni con lo scopo dell’utile. Al contrario, sostiene Bataille, l’attività umana è indirizzata verso il dispendio improduttivo delle risorse, lo sperpero e la dilapidazione attraverso il lusso, le guerre, l’attività erotica perversa (cioè non a scopo riproduttivo), ecc. Non a caso, in  Salò (vera e propria trasfigurazione di questa teoria), anche all’interno di un contesto comunitario fondato sul dispendio (la villa), Pasolini preferisce, tra le varie pratiche sessuali, mostrare con più frequenza quella sodomitica, poiché tra tutte è la più inutile e infruttuosa, un godimento senza scopo ultimo se non il piacere in sé. Ciò vale naturalmente anche per la tortura e l’omicidio, apici di un’economia fondata sul dispendio e sull’assoluto rovesciamento dei principi dell’etica aristotelica. 

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

Sodomia

LA MORTE DI DIO

Se l’ipermodernità è caratterizzata dall’impossibilità, per l’uomo, di ottenere il reale appagamento dei propri desideri nonostante l’impegno frenetico a collezionare godimenti effimeri e improduttivi, ciò è dovuto a una contraddittorietà di fondo: da una parte, l’estrema libertà dei costumi (in verità, solo apparente) e, dall’altra,  la presenza di un freno, di un limite insuperabile. D’altronde, si è già citato il rovesciamento proposto da Pasolini dell’equazione tolleranza/libertà; come detto, la presunta tolleranza del Potere non è che una forma di repressione. In Salò, ciò è rappresentato dalla maschera tragica dei quattro signori, le cui predisposizioni libertine li trasformano in veri e propri carnefici. Questa contraddizione è una cifra peculiare della contemporaneità ed è legata a una falsa credenza della ‘morte di Dio’ (tema centrale della modernità e presente anche in Salò).
Prima di entrarne nel merito, è necessaria una precisazione: qui, il concetto di “Dio” non è da intendersi in senso cristiano ma, più in generale, come rappresentazione di quei caratteri censori del Super-io, rappresentati anche dalla Legge, dalla figura Padre o del Grande Altro lacaniano.
Va inoltre premesso che il laicismo modernista dell’Italia contemporanea era già da tempo un tema portante della riflessione di Pasolini: scrivendo della vittoria del “No” al referendum sul divorzio, egli ne riconduceva le ragioni alla trasformazione di un Paese che ha ormai abbandonato «il vecchio sanfedismo contadino e paleoindustriale»26, in favore dell’ideologia edonistica del consumo e della tolleranza. In ossequio alle caratteristiche di quel “nuovo Potere” «che non coincide più con la Democrazia Cristiana e non sa più che farsene del Vaticano»27, e ai conseguenti mutamenti nella sfera della sessualità, il “nuovo mondo” (coniando questa espressione sulla scorta del concetto di “fine del mondo antico” presente implicitamente negli Scritti Corsari) mette quindi a morte il Dio delle proibizioni, sostituendolo con il nuovo dio del consumo e del godimento.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

La storia del pensiero ci ha abituato dunque a elaborare il tema del rapporto tra la morte di Dio e la libertà nei termini dell’equazione di Ivan Karamazov secondo cui «Se Dio non esiste allora tutto è permesso». A detta di Slavoj Žižek, però, la questione è ben più complessa, perché la caduta di un’autorità oppressiva genera in realtà una libertà fasulla e dunque la celebre citazione dostoevskiana andrebbe rovesciata poiché «Quel che caratterizza la modernità non è più la figura tradizionale del credente che nutre in segreto dubbi sulla sua fede e si dedica a fantasie trasgressive; oggi abbiamo, al contrario, un soggetto che si presenta come un tollerante edonista impegnato nella ricerca della felicità, e il cui inconscio è il luogo delle proibizioni»28  Perciò, sarebbe meglio dire che “se Dio non esiste allora tutto è proibito”, proprio nella misura in cui a essere rimossi (divenendo quindi istanze inconsce) non sono più i desideri illeciti ma le proibizioni che guastano il godimento. Il massimo paradosso della morte di Dio è quindi che «l’oscena imposizione del Super-io»29 porta nuovi e più severi divieti (la tolleranza è la più atroce delle forme di repressione, diceva Pasolini), privando il soggetto anche della più bella delle libertà, quella della ribellione.
Dunque, non è un caso se in Salò vi sono almeno due piccoli grandi momenti in cui il seme della ribellione germina all’interno della villa, e che uno di essi consista nell’invocazione cristiana “Dio, Dio, perché ci hai abbandonati?”. Per Pasolini, nonostante una visione della società profondamente pessimistica, vi è difatti un “di fuori” del Potere, ovvero una possibilità di sottrazione a esso che risiede nel rifiuto dei suoi presupposti. Nell’esempio appena citato, questa si attualizza attraverso la simbolica condanna a morte di Dio; invece, nel caso del giovane che, scoperto a fare l’amore con una serva, alza il pugno chiuso pochi istanti prima di essere ucciso, si attualizza attraverso la trasgressione della regola morale che vieta l’amore a favore del solo godimento.

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

In Salò, però, il tema della morte di Dio presenta un’altra importante sfumatura. Infatti, lasciando assurgere al ruolo di Legge gli ideali della perversione e del godimento, i quattro signori, pur negando Dio (ad esempio vietando categoricamente ai giovani schiavi di pregare), ambiscono in realtà ad assumerne lo statuto, ossia quello di un Dio che ha un potere assoluto sull’Altro.
Per comprendere meglio questo concetto, dobbiamo passare attraverso la complessa esegesi del romanzo di Sade compiuta da Pierre Klossowski nel primo dei due saggi che compongono Sade prossimo mio. Secondo l’intellettuale francese, alla base del sadismo vi è proprio la morte di Dio, simbolicamente rappresentata dalla Rivoluzione francese e dal parricidio, ossia la messa a morte di Luigi XVI. Il libertino vede la Rivoluzione come possibilità per «un rifacimento totale della struttura dell’uomo»30, purché essa sia permanente e produca un progressivo annullamento dell’idea di Dio. Dunque, quando il libertino uccide Dio viene a decadere anche lo statuto divino del re e, di conseguenza, il popolo diventa contemporaneamente sovrano e criminale. Ne risulta così una società fondata sul delitto e sul terrore, sul motto di Ivan Karamazov relativo alla morte di Dio. Una volta riconosciuta la natura profondamente istintiva e pulsionale dell’uomo, ecco che non è più possibile porre un freno alla ricerca incondizionata del piacere e quindi tutto diventa permesso. Ma, nella prospettiva teologica di Klossowski il divino è il garante dell’Io; venendo a mancare, s’annullano anche il principio di identità e (di conseguenza) la nozione di prossimo. Se lo scopo del sadico è dunque l’annullamento totale del prossimo, tale prospettiva risulta in realtà illusoria, perché anche in uno scenario a-teologico il prossimo permane come oggetto della pratica criminale e resta dunque indispensabile (e con egli Di0) al fine di perpetuare vizi e nefandezze. Nell’interpretazione pasoliniana, questo concetto trova riscontro nella rappresentazione di un libertinaggio che, pur mettendo a morte il Dio cristiano, lo accetta come modello e ne assume lo statuto allo scopo di arrivare all’annullamento del prossimo.
D’altro canto, l’allegoria assume a questo punto una fisionomia molto chiara: se nel romanzo di Sade la morte di Dio era simbolizzata della Rivoluzione francese, in Salò è invece conseguente alla rivoluzione antropologica compiuta dal Potere. Che cos’è d’altronde quello descritto da Pasolini se non un rifacimento totale della struttura dell’uomo? Dunque, come i sadici del romanzo, i libertini del film si fanno loro stessi Dio e garanti dell’Io, utilizzando il prossimo (l’altro-da-sé) come oggetto del crimine. Rielaborando ancora una volta il motto di Dostoevskij, l’essenza della rilettura pasoliniana di Sade è dunque: «perché tutto sia permesso (solo a me in quanto Potere), uccido Dio e ne assumo le sembianze. E in quanto nuovo Dio impongo la mia Legge (ossia quella del godimento e del consumo), facendo quindi credere agli schiavi, attraverso la tolleranza, che anche a loro sia tutto permesso».  

Salò o le 120 giornate di sodoma trama

NOTE

1. Antonio Scurati, Dal tragico all’osceno. Raccontare la morte nel XXI Secolo, Milano, Bompiani, 2012, p. 3 

2Roland Barthes, “Sade-Pasolini”, Le Monde, 16 giugno 1976, in Id., Sul Cinema, Genova, Il Melangolo, 1994, p. 159. 

3. Intervista per la Televisione Svizzera Italiana, 29 Aprile 1975; successivamente, con il titolo “Il potere e la morte” in Pier Paolo Pasolini, Per il cinema Tomo II, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001, p. 3013. 

4Pier Paolo Pasolini, “Il potere senza volto”, «Corriere della sera», 24 Giungo 1974. Poi con il titolo “Il vero fascismo quindi il vero antifascismo” in Id., Scritti Corsari, Milano, Garzanti, 1975, p. 50. 

5Roland Barthes, Sade, Fourier, Loyola (1971), Torino, Einaudi, 2001, pp. 34-35. 

6Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano, Mursia, 1988, p. 27. 

7Cfr. Slavoj Žižek, Il Grande Altro. Nazionalismo, godimento, cultura di massa, Milano, Feltrinelli, 1999. 

8Roland Barthes, Sade, Fourier, Loyola (1971), op. cit., p.35. 

9Intervista per la Televisione Svizzera Italiana, 29 Aprile 1975, op. cit., p. 3014. 

10Stefano Pignataro, “Anarchia del potere e modello di realtà in “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini. Conversazione con Federico Sollazzo, «Sinestesie», n. 15, Aprile 2016. 

11Pier Paolo Pasolini “Il sesso come metafora del potere” (1975), in Per il cinema Tomo II, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001, p. 2063. 

12Ibid., p. 2066. 

13Alberto Brodesco, Sguardo, corpo, violenza. Sade e il cinema, Milano, Mimesis Edizioni, 2014, p. 150. 

14George Bataille, L’erotismo (1957), Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1969, p. 96. 

15Pier Paolo Pasolini, “Gli italiani non sono più quelli”, «Corriere della sera», 10 Giugno 1974. Poi con il titolo “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”, in Scritti Corsari, op. cit., pp. 46-47. 

16 Id., “Ampliamento del bozzetto sulla rivoluzione antropologica, «Mondo», 11 Luglio 1974. Poi in Ibid., p. 65. 

17Id., “Contro i capelli lunghi”, «Corriere della sera», 7 Gennaio 1973. Poi con il titolo “Il «discorso» dei capelli” in Ibid., p. 13. 

18Cfr. Id., “Abiura della trilogia della vita”, in Lettere Luterane, Torino, Einaudi, 1976, p. 71. 

19. Ibid., p. 72. 

20Michel Foucault, Sorvegliare e punire (1975), Torino, Einaudi, 1976, p. 37. 

21Pier Paolo Pasolini., “Sono contro l’aborto”, «Corriere della sera», 19 Gennaio 1975. Poi con il titolo “Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere” in Ibid., p. 106. 

22Pier Paolo Pasolini, “De Sade e l’universo dei consumi”, in Id., Il cinema in forma di poesia, a cura di L. De Giusti, Pordenone, Cinemazero, 1979. 

23Jacques Lacan, Lacan in Italia, Milano, La Salamandra, 1978, p. 94. 

24Marco Dotti, Recalcati: «Il nostro è un tempo senza memoria. Pasolini lo aveva capito», intervista a Massimo Recalcati, http://www.vita.it/it/article/2017/06/07/recalcati-il-nostro-e-un-tempo-senza-memoria-pasolini-lo-aveva-capito/143650/ 

25Cfr. Sigmund Freud, “Al di là del principio di piacere” (1920), in Opere di Sigmund Freud vol. 9. L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923, Torino, Bollati Boringhieri, 1986. 

26. Id., “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”, in Scritti Corsari, op. cit., p. 44. 

27Id., “Ampliamento del bozzetto sulla rivoluzione antropologica, in Ibid., pp. 64-65. 

28. Slavoj Žižek, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, p. 265. 

29Ibid., p. 268. 

30Pierre Klossowski, Sade prossimo mio (1947), Milano, Sugar Editore, 1970, p. 46. 

Cosa succede in Salò di Pasolini?

In una sequenza di efferatezze e riti profani, tra torture, sevizie, amputazioni e uccisioni perpetrate sulla base di una sorta di dantesca pena del contrappasso, Signori e collaborazionisti si cimentano in balletti isterici e atti di sesso necrofilo.

Dove è ambientato Salò?

Salò
Salò comune
Stato
Italia
Regione
Lombardia
Provincia
Brescia
Amministrazione
Salò - Wikipediait.wikipedia.org › wiki › Salònull

Quanto dura Salò?

1h 57mSalò o le 120 giornate di Sodoma / Duratanull

Chi ha scritto le 120 giornate di Sodoma?

Marchese de SadeLe 120 giornate di Sodoma / Autorenull